L'Italia diminuisce gli investimenti nell'istruzione

L’Italia diminuisce gli investimenti nell’istruzione

Pubblicato il report ‘La scuola non chiude” di WeWorld Onlus: l’Italia è tra i paesi europei che più di tutti hanno diminuito gli investimenti nell’istruzione

L’Italia è tra i paesi europei che ha diminuito maggiormente i propri investimenti in istruzione. È quanto emerge dal brief report “La scuola non chiude” che WeWorld – Organizzazione non Governativa che da oltre vent’anni si occupa di difendere i diritti di bambini, bambine e donne a rischio in Italia e nel Sud del Mondo – pubblica oggi in occasione dell’ultimo giorno di scuola.

Il report, analizzando l’impegno economico del Governo italiano in materia di istruzione, e gli effetti che esso provoca sui ragazzi, fotografa una situazione nazionale critica con gli investimenti previsti che non sono, in volume, ancora sufficienti a far prevedere un miglioramento, nonostante l’interruzione degli anni 2014-2017 dei tagli di fondi e delle risorse dedicati a istruzione, università e ricerca.

Nel 2015 la spesa pubblica in educazione del nostro paese (come percentuale del PIL) è stata solo del 4%, contro il 7,5% dell’Islanda, il 7% della Danimarca, il 6,5% della Svezia e il 6,4% del Belgio. Paesi con condizione simile alla nostra, con percentuali addirittura inferiori o uguali, sono la Romania (3,1%), l’Irlanda (3,7%), la Bulgaria (4%) e la Spagna (4,1%) [fonte: Eurostat 2017].

Anche se si considera il dato della spesa per l’educazione come percentuale della spesa pubblica totale, il quadro non migliora. L’Italia si colloca, infatti, al 30° posto della classifica – dopo di noi solo la Grecia – con una spesa per l’istruzione pari al 7,9% del totale, a fronte della media europea del 10,3%. Il nostro investimento è ancora distante dall’impegno che hanno preso Paesi come l’Islanda (17,4%) e la Svizzera (17,2%), ma anche di paesi come l’Estonia (15,1%) o la Polonia (12,6%) [fonte: Eurostat 2017].

Se si osserva il dato della distribuzione della spesa pubblica per funzione, si può notare che l’Italia spende molto di più in protezione sociale che in istruzione: il 42,6% della spesa pubblica contro il 7,9% [fonte: Istat 2015].

Partendo dai dati della spesa pubblica italiana – con un focus sull’educazione – e paragonandoli con quella degli altri Paesi europei, il rapporto di WeWorld Onlus sottolinea la stretta connessione tra la spesa destinata all’istruzione e il fenomeno della povertà educativa. Nonostante la povertà, soprattutto quella assoluta, minacci il presente e il futuro di oltre 1 milione di bambine, bambini e adolescenti italiani e considerate le notevoli differenze regionali, la percentuale di abbandono precoce degli studi nel 2016 è scesa al 13,8%.

In Italia, la quota dei ragazzi di età compresa tra i 10 e i 16 anni che rischiano di abbandonare gli studi prima della conclusione del ciclo scolastico obbligatorio è molto alta: parliamo di oltre 600.000 studenti. A questi dobbiamo aggiungere gli oltre 2,2 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano (Neets) che rappresentano il 24,3% della relativa popolazione, con una incidenza più elevata tra le donne rispetto agli uomini.

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