Abuso di cocaina, dimostrata l’alterazione cerebrale alla base del rischio di ricaduta

Il consumo abituale di cocaina riduce la connettività tra due regioni del cervello: questa disfunzione spiega fisiologicamente il rischio di ricadute. Lo rivela uno studio dei ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e di Urbino, condotto in collaborazione con l’Ospedale Niguarda e il Sert 1 di Milano, e pubblicato sulla rivista Behavioural Brain Research

Il consumo abituale di cocaina induce un’alterazione cerebrale che fa prevalere la parte istintiva del cervello su quella razionale. Si tratta di una modificazione fisiologica che spiega perché una persona che consuma cocaina, anche dopo un periodo relativamente lungo di astinenza, resta soggetta a un elevato rischio di ricaduta.

Lo rivela lo studio Resting state brain connectivity patterns before eventual relapse into cocaine abuse (M. Berlingeri, D. Losasso, A. Girolo, E. Cozzolino, T. Masullo, M. Scotto, M. Sberna, G. Bottini, E. Paulesu, DOI: 10.1016/j.bbr.2017.01.002) condotto dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, insieme all’Ospedale Niguarda Ca’ Granda e al Sert 1 di Milano, appena pubblicato sulla rivista Behavioural Brain Research.

Per dimostrare questa alterazione, fino ad oggi solo ipotizzata dalla letteratura scientifica, i ricercatori hanno misurato il livello di organizzazione funzionale delle reti cerebrali in stato di riposo di 18 ex consumatori abituali di cocaina, in astinenza dalla droga da cinque mesi.

Il confronto fra il campione degli ex consumatori di cocaina e 19 persone che non avevano alle spalle una storia di tossicodipendenza ha rivelato una riduzione della connettività funzionale fra il nucleo accumbens – una regione profonda del cervello importante per la motivazione – e la corteccia dorsale prefrontale, implicata nel controllo cognitivo del comportamento. Viceversa, il nucleo accumbens mostrava una maggiore connettività con la regione orbitale del lobo frontale, struttura che codifica il valore edonico delle ricompense. Negli otto pazienti che sono ricaduti nel consumo di cocaina tre mesi dopo le rilevazioni, l’alterazione era ancora più evidente.

Come è stato possibile effettuare queste misurazioni? Grazie all’uso della risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging) e di test psicologici basati su scale di valutazione dell’impulsività. Tutti i pazienti tossicodipendenti hanno evidenziato un disturbo nel controllo cognitivo del comportamento (Strategic and controlled behaviour) proporzionale, a sua volta, alla connessione fra la corteccia dorsale prefrontale e il nucleo accumbens. Il “cervello istintivo”, essendo le strutture cerebrali turbate nei loro rapporti di forza fisiologici, tende a prendere il sopravvento sul “cervello razionale” e il controllo del comportamento risulta indebolito, così come risultano alterati i meccanismi chimici legati al rilascio di dopamina e alla sensazione di ricompensa.

Le ricerche, infine, hanno evidenziato un sistema “push and pull”  basato su un rapporto di correlazione inversa, dove più forte è il rapporto fra corteccia orbitofrontale e nucleo accumbens (sistema della ricompensa), meno forte è il rapporto fra il nucleus e la corteccia dorsale prefrontale (sistema del controllo cognitivo). Queste conclusioni delineano un modello nuovo che si distacca da quello elaborato da Nora Volkow, autorevole studiosa americana delle dipendenze.

La chiave di volta del nuovo modello si trova nella struttura del nucleo accumbens e nello studio di come si connette con le altre regioni del cervello. I risultati, secondo gli studiosi, mostrano che tali interazioni sono particolarmente turbate nei pazienti a maggior rischio di ricaduta.

«L’astinenza dei pazienti durava in media da 141 giorni – ha detto Manuela Berlingeri, docente presso l’Università di Urbino e il centro di Neuroscienze NeuroMi di Milano – e il fatto che dopo quasi cinque mesi il cervello mostrasse ancora gli effetti tipicamente indotti dal consumo di cocaina suggerisce che, di fatto, il farmaco sia in grado di lasciare una traccia nelle strutture cerebrali che resta impressa in un arco temporale relativamente lungo».

«I pazienti in cui il meccanismo individuato era più forte sono ricaduti – ha commentato Eraldo Paulesu, professore di Psicologia Fisiologica all’Università di Milano-Bicocca – e questo evidenzia una distinzione fra due gruppi e due momenti diversi. Le implicazioni pratiche future, dopo studi ripetuti sulla base di un campione formato da centinaia di pazienti, potrebbero evidenziare predittori del rischio di ricadute, per individuare quali pazienti seguire con più attenzione e quali siano i momenti di maggiore vulnerabilità».

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