Nicola Segata (foto di Alessio Coser)

Batteri: la mamma ne trasmette alcuni al proprio bambino

Lo dimostrano i ricercatori del Cibio (Università di Trento) in uno studio pubblicato in questi giorni su mSystems (nuova rivista dell’American Society for Microbiology). A risolvere un aspetto scientifico discusso da tempo l’impiego di un “microscopio computazionale”

I microorganismi che colonizzano l’intestino dei neonati a partire dalla nascita provengono dalla madre che inizia a trasmetterli al bambino già durante il parto? Su questa domanda la comunità scientifica dibatte da tempo per gli scenari terapeutici che la risposta potrebbe portare con sé. Se infatti si dimostrasse che la madre può trasmettere, prima o durante il parto, un particolare microboorganismo che può essere dannoso per la salute futura del bambino, potrebbe essere possibile fare esami sulla madre durante la gravidanza e offrire qualche trattamento preventivo al bambino. Lo stesso principio vale per microorganismi che coadiuvano lo sviluppo fisiologico del bambino (per esempio “allenando” il suo sistema immunitario): se la mamma non li potesse trasmettere si potrebbero farli assumere al bambino in altro modo. Ma il fenomeno – chiamato “trasmissione verticale” – è stato finora particolarmente difficile da osservare a causa di limitazioni di natura tecnica.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento in collaborazione con le unità operative di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento, apre però una nuova strada: in uno studio pilota hanno infatti osservato che la trasmissione verticale dei microbi effettivamente avviene almeno per alcune specie batteriche e può essere studiata in modo sistematico. E per arrivare a questo risultato hanno combinato tecniche di laboratorio e tecniche computazionali innovative.

Lo studio – finanziato dalla Fondazione Caritro e sostenuto in parte anche dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dalla Commissione europea – è stato pubblicato questa settimana su mSystems, una rivista open access della American Society for Microbiology. L’analisi ha rilevato la presenza di ceppi batterici geneticamente identici nei campioni fecali di neonati e delle loro madri, diversi da quelli individuati in altri neonati o madri: un segnale che attesta la trasmissione verticale. I risultati indicano inoltre che i ceppi trasmessi appartenenti a diverse specie di Bacteroides e Bifidobacterium erano attivi nelle comunità microbiche (dette microbiomi) sia della madre che del neonato suggerendo che la trasmissione verticale sia avvenuta con successo e possa essere duratura.

«L’esposizione precoce del neonato è importante per l’acquisizione e lo sviluppo di un microbiota sano» afferma Nicola Segata, autore dello studio e ricercatore presso il Centro di Biologia Integrata (Cibio) dell’Università di Trento. «Abbiamo elaborato metodi per individuare il flusso verticale di microorganismi dalle madri ai neonati e dimostrato che le madri sono la fonte di parte dei microbi che potrebbero essere essenziali per lo sviluppo del microbiota intestinale del neonato. La rivoluzione si chiama metagenomica, un metodo biotecnologico che dalle feci o dalla saliva di una persona consente di risalire ai microorganismi presenti attraverso il sequenziamento del loro materiale genetico e l’analisi informatica dei dati. L’approccio classico richiederebbe invece la coltivazione dei microorganismi in laboratorio: una pratica che ha altri vantaggi ma che è lenta, costosa ed estremamente difficile per la maggioranza dei batteri nel microbiota».

In studi precedenti sono state osservate le stesse specie di microbi nelle madri e nei neonati: un dato che suggeriva l’avvenuta trasmissione. «Tuttavia, a meno che non si possa vedere lo stesso ceppo o la stessa variante genetica, è molto difficile giungere a quella conclusione» commenta Adrian Tett, coautore dello studio e assegnista di ricerca sempre presso il Cibio. «In questo studio abbiamo dimostrato che la trasmissione verticale di microorganismi dalle madri ai neonati si può dedurre senza utilizzare metodi di coltivazione in provetta e quindi possiamo continuare l’indagine su una scala maggiore evitando approcci colturali molto dispendiosi in termini di tempo».

Gli studi sul microbiota

Ogni persona ha un doppio “bagaglio” di informazioni che porta con sé per tutta la vita. Da una parte ha il proprio patrimonio genetico, quello che eredita dai genitori. Dall’altra il microbiota, il corredo di batteri, virus e funghi che popolano il nostro corpo e che superano in numero le nostre stesse cellule. A differenza del genoma, la composizione del microbiota dipende da una serie di fattori non ereditari (età, dieta, uso di antibiotici, solo per fare degli esempi) e, come studiato in questo caso, dall’espozione al microbiota materno alla nascita. Se le ricerche scientifiche sul genoma umano vengono sviluppate ormai da tempo, più recenti sono invece gli studi relativi al microbiota. Analizzare il microbiota di una persona permette di individuare i microorganismi che caratterizzano il suo corredo e potenzialmente di studiare quanto sia esposta a determinate malattie. «La quasi totalità di questi ceppi microbici in persone sane ha funzioni indispensabili per il corpo umano, come per esempio coadiuvare la digestione. Ma la presenza di determinate varianti di alcuni microorganismi solitamente non patogeni – spiega Nicola Segata, a capo del Laboratorio di Metagenomica computazionale al Centro di Biologia integrata (Cibio) dell’Università di Trento – può significare avere rischi aumentati di contrarre malattie complesse e/o autoimmuni come il diabete, il morbo di Crohn e la colite ulcerosa».

Le evidenze scientifiche

In questo primo studio appena pubblicato, Segata e colleghi hanno raccolto campioni fecali e di latte materno di cinque coppie madre-neonato individuate quando i neonati avevano tre mesi, grazie alla collaborazione dei reparti di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento. Hanno raccolto ulteriori campioni da due delle coppie madre-neonato quando i piccoli avevano 10 mesi, e da un’altra coppia madre-neonato all’età di 16 mesi. Hanno applicato una particolare tecnica di laboratorio (detta sequenziameto metagenomico) su 24 campioni di microbiota (otto campioni fecali della madre, otto campioni fecali del neonato, otto campioni di latte materno) per verificare quali microbi fossero presenti. Hanno utilizzato un altro strumento specifico (sequenziamento metatrascrittomico) sui campioni fecali provenienti da due delle coppie per vedere quali microbi fossero attivi.

«In un primo momento, come si presumeva – spiega Segata – si è osservato che l’intestino delle madri conteneva una maggiore diversità microbica rispetto a quello dei neonati. Tuttavia, il microbiota del neonato di 16 mesi era passato a una composizione più simile a quella della madre, con un aumento della diversità microbica. Nei campioni di latte materno si è riscontrata scarsa diversità dopo il parto; i microbi della pelle sono stati individuati solo in piccole quantità nel microbiota dei neonati, a indicare che essi non colonizzano l’intestino umano».

Per analizzare la trasmissione microbica da madre a neonato, il team ha analizzato ulteriormente i campioni metagenomici a un livello più sottile per esaminare ceppi batterici specifici. In un neonato è stato rilevato un ceppo del batterio infantile comune (Bifidobacterium bifidum) identico al 99,96% a quello della madre, ma palesemente distinto dai ceppi delo stesso batterio osservati in altri neonati, a suggerire una forte evidenza di trasmissione microbica verticale. In un altro neonato sono stati rinvenuti ceppi di altri due batteri, Coprococcus comes e Ruminococcus bromii, identici a quelli delle madri in misura maggiore al 99%.

«Benché sia ancora presto per i risultati finali su tutte le cinquanta coppie – conclude Segata – possiamo dedurre che probabilmente una parte considerevole dei batteri del neonato proviene dalla madre». Il lavoro prosegue per gli studiosi del CIBIO e delle unità operative di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Trento e dei collaboratori dell’Università di Parma, impegnati appunto a esaminare altre coppie madre-neonato dalla nascita dei piccoli fino a un anno di vita. «Il prossimo passo sarà quello di confrontare le vie di trasmissione dei microbi del parto naturale e nel parto cesareo, nell’allattamento al seno, nel contatto pelle a pelle subito dopo la nascita».

La American Society for Microbiology (Associazione americana di microbiologia) – editore della nuova rivista – è la più grande associazione dedicata a un’unica scienza, composta da oltre 39mila scienziati e professionisti della salute. Si prefigge lo scopo di promuovere e fare avanzare le scienze microbiologiche. La ASM persegue le proprie finalità promuovendo conferenze, pubblicazioni, certificazioni e opportunità educative. Rafforza la capacità di laboratorio nel mondo attraverso iniziative di formazione e risorse. Mette a disposizione degli scienziati nel mondo accademico, nell’industria e nei laboratori clinici una rete di conoscenze. Inoltre, promuove una comprensione più approfondita delle scienze microbiche per destinatari diversi.

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