Foto: Fabrizio Fenucci

Intervista – “Umano”, Ermal Meta ci racconta il suo disco

“Umano” è il primo disco da solista di Ermal Meta. Ce lo racconta così, anche se, come ama dire citando Frank Zappa, ‘Parlare di musica è come ballare di architettura’

 

“Umano” è il primo disco di Ermal Meta. Primo scritto e prodotto da solo, e in gran parte anche suonato, ma Ermal di musica sulle spalle ne ha già un bel po’. Partecipando all’ultimo Festival di Sanremo ha fatto questo nuovo passo, dopo lo scioglimento della band La Fame di Camilla e dopo aver scritto successi per i cantanti italiani più amati. Tutti abbiamo cantato una sua canzone, anche se spesso non sapevamo che l’avesse scritta lui.

Adesso con “Umano” si apre un altro capitolo della sua storia musicale. Come ama spesso ricordare citando Frank Zappa, ‘Parlare di musica è come ballare di architettura’: è vero, ma quando un disco è interessante, ben fatto e ricco di sfaccettature, è più semplice farlo.

“Umano”, il disco (e non solo) raccontato da Ermal Meta

Come ti sei posto di fronte alle aspettative di chi conosceva quello che hai fatto in passato, con La Fame di Camilla e come autore?
Io cerco di non lasciarmi mai influenzare da un’aspettativa. La parte più interessante è che le aspettative possono essere capovolte, sono la sorpresa insita in quello che fai.

Le aspettative per il tuo disco erano decisamente alte…
Immaginavo che chi mi aveva seguito con La Fame di Camilla sarebbe stato un po’ spiazzato dal suono del nuovo disco, ma la cosa bella delle opinioni è che cambiano: chi è rimasto sorpreso da “Umano” è stato spinto ad ascoltarlo con più attenzione. Per me la soddisfazione di un’aspettativa non rappresenta un punto di arrivo ma è il punto di partenza. So che la parte interessante è il percorso, non tanto il traguardo. E’ interessante anche il percorso verso un errore.

In che senso?
Nella scienza, ad esempio, le più grandi scoperte sono arrivate attraverso errori. Penso al signor Goodyear che ha inventato la vulcanizzazione della gomma attraverso un banalissimo errore di dosaggio. Sono sempre i percorsi a essere interessanti, l’aspettativa dà solo il ‘la’ a una cosa.

In “Umano” troviamo nove canzoni una diversa dall’altra.
Per me era fondamentale che fossero così perché le canzoni sono emozioni, e le emozioni sono tutte diverse fra loro: le note sono dodici, moltiplicate per quante emozioni siamo in grado di provare. Il risultato è un numero infinito.

Nelle tue canzoni nonostante succedano una serie di cose all’uomo, o meglio alla persona, alla fine c’è sempre un ricordo, un amore, un incontro che mette tutto in prospettiva. E’ così?
Ma certo che è così. La vita cerca la vita, la musica cerca la musica, la felicità cerca la felicità. Nonostante ci accadano delle cose, noi siamo inconsciamente portati a ritrovare un equilibrio karmico, che io credo sia legato più al corpo che allo spirito. E’ una questione di fisica. Noi siamo fatti di atomi, gli atomi vibrano, ognuno di noi vibra a frequenze diverse. Gli esseri umani sono delle note, noi siamo degli accordi fra testa, cuore e stomaco: nello stomaco ho un la, nel cuore ho un re, e nella testa un fa diesis. Quindi sono un re maggiore, fondamentalmente. Il karma è come attraversi il mondo che ti circonda e soprattutto come ti fai attraversare.

C’è parecchio sound anni ’80 in “Umano”: queste sonorità sono sempre un tuo riferimento?
No. Io scrivo in maniera molto scarna: mi interessa che sia la musica a sussurrarmi il testo. Al suo interno ogni musica ha dentro le parole; insieme diventano canzone. La canzone ha già dentro anche il suono giusto. Io sto lì a impegnarmi a fare silenzio, per fare sì che tutto germogli da solo.

Sento echi di “Smalltown boy” dei Bronski Beat in “Volevo dirti”…
Li sento anche io (ride, nda). Il mondo eighties in questo pezzo è predominante, complice anche il sax. Picasso diceva che i mediocri copiano, quelli bravi rubano. Questo mestiere è fatto di furti, intesi in senso buono. Ci sono due modi per imparare bene a fare musica, secondo me. Uno è ascoltare in maniera critica le canzoni e poi ignorarle. Tanto qualcosa dentro ti resta. L’altro modo è quello di leggere tantissimi libri perché la musica è nei libri, non è nei dischi.

Cosa intendi dire?
I libri sono pieni di musica; ogni storia è fatta di musica. Ogni volta che finisco di leggere un libro scrivo almeno due o tre canzoni che rappresentano una colonna sonora di quella storia. Quando ho finito “Il cacciatore di aquiloni” ho scritto due pezzi. Leggere è la cosa migliore che possa fare durante la giornata.

Quali canzoni sarebbero?

Non sono state ancora pubblicate.

"Umano"

In “Umano” canti ‘umano troppo umano’: citazione di Nietzsche?
Sì, Nietzsche diceva questo, parlava di uomo e superuomo. Non so se sia una citazione o una eccitazione del momento (ride, nda). Ma no, è certamente una citazione.

I libri sono il contrario di una canzone: nei primi puoi espandere, nell’altra devi condensare.
Sono due cose che si combattono molto, un po’ come il violino e il pianoforte. Con il violino devi chiudere, con il piano devi aprire. Però possono camminare a braccetto per un po’. Io vorrei scrivere un libro e sto pensando a quali percorsi seguire per non essere sintetico, perché sono portato a dire in una frase quello che avrei voluto esprimere in dieci pagine.

Che libro vorresti scrivere?
Ho in mente una storia che non c’entra niente con la musica, è un romanzo che parte da basi vere e poi il resto me lo devo inventare.

Con Enrico Ruggeri abbiamo parlato di internet, che ci fa vedere subito tutto quello che un cantante propone dall’altra parte del mondo. Come si fa, secondo te, a fare qualcosa di diverso che interessi e colpisca le persone?
La cosa più rivoluzionaria che si possa proporre oggi è la verità. Bisogna fare quello che si fa con onestà intellettuale. Non credo alle cose nuove, io credo alle cose vecchie fatte in un modo nuovo. Altrimenti perché ci innamoriamo sempre? Lo conosciamo tutti l’amore, ci abbiamo anche sofferto ma non smettiamo di innamorarci. Torniamo lì, la vita cerca la vita, un fiore cerca il sole.

Umberto Eco nel 1964 ha scritto che con la radio, la filodiffusione, il juke-box, si era immersi in un continuum musicale in ogni momento della vita, e che così la musica era consumata come rumore. Oggi è peggio?
Oggi è peggio a causa di un dettaglio: la velocità. Uno scrittore diceva che il guaio peggiore della velocità è che l’insieme dei colori diventa grigio. Oggi accade così. La musica è un prodotto che viene consumato prima di essere compreso. Passiamo velocemente da una canzone all’altra. E’ difficile che oggi attraverso un brano ci si possa accorgere dell’anima di qualcuno, allo stesso modo in cui ti accorgi dell’anima di un pittore guardando un suo quadro.

Te lo chiedono spesso, ma quando arrivano i concerti?
Ci stiamo lavorando perché vogliamo preparare qualcosa di speciale. Dopo gli instore faremo magari qualche altra data di presentazione; a me piace molto incontrare le persone, parlare e anche ricevere domande: mi piace vedere la curiosità.

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