UniTrento: Cancro alla prostata, un passo avanti nella cura personalizzata

Da oggi la resistenza a un farmaco frequentemente somministrato ai pazienti con tumore prostatico metastatico si scopre con l’esame del sangue. Il test è il risultato di uno studio internazionale condotto dai ricercatori del CIBIO e da clinici e scienziati britannici. Il lavoro ha conquistato la copertina del giornale scientifico “Science Translational Medicine”

Nella cura dei tumori è cruciale non perdere tempo: bisogna individuare velocemente la terapia più adatta ed evitare di intraprendere strade sbagliate. Come possiamo sapere in anticipo se un paziente è resistente al farmaco? Basta un esame del sangue e l’analisi del DNA tumorale in esso contenuto per prevedere la reazione che un paziente con tumore prostatico metastatico potrà avere al trattamento, in questo studio il farmaco abiraterone, e capire così se procedere o preferire un approccio farmacologico alternativo.

Ad aprire nuove prospettive per la cura personalizzata di pazienti oncologici è uno studio pubblicato da poche ore in copertina sull’importante rivista medica “Science Translational Medicine” (gruppo editoriale “Science”) e condotto dal gruppo di ricerca di Francesca Demichelis del Centro di Biologia integrata (CIBIO) dell’Università di Trento in collaborazione con il Royal Marsden NHS Foundation Trust, l’Institute of Cancer Research di Londra e l’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori di Meldola.

Nonostante l’abiraterone sia un farmaco efficace non tutti i pazienti rispondono al trattamento. Una importante percentuale di pazienti, compresa tra il 30-60%, è infatti resistente a questo farmaco. I ricercatori hanno individuato un biomarcatore misurabile con un esame del DNA che si esegue da un prelievo di sangue. I risultati sinora raggiunti suggeriscono che il biomarcatore individuato è in grado di predire accuratamente, prima ancora di iniziare la cura, se un paziente risponderà o meno al trattamento con abiraterone.

«La capacità di quantificare il DNA tumorale da un campione di sangue e di caratterizzare alterazioni presenti nella sua struttura ha enormi potenzialità» spiega Francesca Demichelis, responsabile del Laboratorio di Oncologia Computazionale al CIBIO e coautrice dell’articolo. «La biopsia liquida, così viene chiamato questo tipo di test, oltre a essere un esame non invasivo offre una visione d’insieme dello stato di avanzamento del tumore nel paziente, a differenza di una biopsia standard che ne descrive solo una porzione circoscritta. La biopsia liquida è molto informativa nel caso di tumori avanzati nel momento della scelta terapeutica».

Lo studio è stato condotto su 274 campioni di sangue di 97 pazienti analizzati attraverso le tecniche di sequenziamento del DNA. Gerhardt Attard, oncologo presso il Royal Marsden di Londra e principale collaboratore di questo studio con il CIBIO dell’Università di Trento, dice: «Stiamo ora disegnando un trial clinico che coinvolgerà 600 pazienti. L’obiettivo è valutare in modo prospettico se per i pazienti positivi al nostro test è più indicato un trattamento chemioterapico rispetto all’abiraterone».

In linea di principio, la stessa metodologia sviluppata in questo studio si può applicare ad altri tipi di tumore e potenzialmente anche in fasi di malattia meno avanzata.

I giovani ricercatori del gruppo di Oncologia Computazionale del CIBIO che hanno condotto questo studio con Francesca Demichelis sono Alessandro Romanel e Nicola Casiraghi.

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