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Altro che bamboccioni: giovani più realisti dei genitori, ma con poca fiducia nel mercato del lavoro

Nell’ambito del programma YOUng FIRST, Gi Group ha condotto la ricerca “I giovani italiani e la visione disincantata del mondo del lavoro” per capire le aspettative dei giovani in materia di lavoro, confrontando il loro punto di vista con quello degli adulti e delle aziende
Come vedono il lavoro i giovani d’oggi? Per loro cosa rappresenta? Gli adulti cosa pensano e le aziende cosa consigliano?
Di seguito i principali dati di sintesi della ricerca “I giovani italiani e la visione disincantata del lavoro – divergenze e convergenze con genitori e imprese” realizzata da Gi Group, la prima multinazionale italiana del lavoro, in collaborazione con OD&M Consulting, che fotografa l’universo giovanile rispetto al tema lavoro confrontandolo con il punto di vista degli adulti (con almeno un figlio tra i 15-29 anni) e delle aziende; i valori sono espressi in una scala da 1, punteggio minimo, a 10, punteggio massimo.
* Per trovare lavoro e fare carriera, genitori e imprese credono nel merito (tra cui competenze, titolo di studio, sapersi presentare bene, usare strumenti di ricerca, annunci, etc. con voto medio pari a 7,9 punti); 8 giovani su 10 considerano, però, altrettanto importanti i fattori non meritocratici (voto medio 7,1 punti), fra cui emergono fortuna e conoscenze, in particolare di persone potenti.
* Per i ragazzi gli aspetti importanti del lavoro sono: buone relazioni (specie con capi e colleghi, con voto pari a 7,9 punti), condizioni oggettive tra cui la sicurezza del posto di lavoro (8,2) e, a seguire, gli aspetti espressivi, tra cui contenuti interessanti e miglioramento dello stipendio (8); meno importanti gli aspetti legati alla crescita professionale e alla carriera (achievement), considerati, invece, di più da genitori (+1,1 punti) e aziende (+0,5).
* La soddisfazione dei giovani occupati è alta sugli aspetti relazionali con capi e colleghi (7,1), sufficiente sugli aspetti espressivi di auto-realizzazione (6), leggermente più bassa (5,9) sulle condizioni oggettive di lavoro, molto bassa su possibilità di carriera (voto medio pari a 5,2 punti) e retribuzione (voto medio pari a 5,3 punti).
* Il lavoro, per il 42% dei giovani, rappresenta per lo più la possibilità di portare a casa uno stipendio, solo in seconda battuta un’occasione di realizzazione personale (36%), rendendo evidente, quindi, la prevalenza del suo aspetto strumentale. Da segnalare in controtendenza donne, laureati, lavoratori autonomi e con contratto flessibile, che mettono al primo posto la realizzazione personale (43%).
* Nonostante il quadro negativo di crisi economica, i giovani non si arrendono: 9 su 10 considerano, infatti, la perseveranza il fattore più importante per trovare impiego, così come i loro genitori e le aziende.
* E anche se per più di 1 giovane su 4 il settore pubblico rappresenta il lavoro ideale, 1 su 6, se potesse scegliere, avvierebbe una propria attività, contrariamente al 25% dei genitori che vorrebbe impiegato il proprio figlio in una multinazionale; pochissimi giovani sceglierebbero una PMI (6,5%).
* I ragazzi considerano il lavoro manuale un “male necessario”; sono più propensi ad accettarne uno rispetto ai genitori, se pure in condizioni di alta professionalità, stipendio adeguato o temporaneamente (pari merito 28,5%).
* 8 ragazzi su 10, infine, dichiarano di essere disposti a trasferirsi per lavoro, anche se per lo più in altre regioni d’Italia (circa 40%) o in Europa, mentre le aziende consigliano quasi tutte i Paesi dei BRICS.
“Instabilità generale, mancanza di punti fermi, crisi persistente sembrano aver minato lo slancio proprio dei giovani che appaiono disincantati, pragmatici e meno rampanti rispetto al passato e ai genitori, ma più realisti e decisi a tenere duro a fronte della crisi e del crescere della disoccupazione* – commenta Stefano Colli-Lanzi, Amministratore Delegato di Gi Group –. Si tratta di una generazione di mezzo, che da una parte porta con sé il retaggio di una certa “cultura” del passato tale per cui l’unico modo per trovare lavoro sembra dipendere dalle conoscenze giuste, dall’altra però sta prendendo coscienza di avere la responsabilità del proprio futuro. Tutti noi dobbiamo, quindi, lavorare affinché questo disincanto non si trasformi in nichilismo sino a ridurre l’obiettivo del lavoro ad un generico “portare a casa lo stipendio”, offrendo loro percorsi di sviluppo professionale e buoni esempi da cui imparare. Istituzioni e operatori di settore devono intervenire subito, perché non ci si può permettere di perdere questa generazione quando l’intero Paese ha bisogno della loro creatività per uscire dalla crisi. Per questo, ci auguriamo che la Riforma del mercato del lavoro venga rivista con le parti sociali appena possibile affinchè si agisca con più coraggio sulle misure per i giovani, in primis per distinguere meglio le forme di flessibilità da quelle di precarietà e incentivando la flexsecurity per coniugare le istanze di stabilità dei ragazzi con quelle di flessibilità delle aziende”
Da segnalare che i giovani interpretano le scelte professionali come il risultato di un lavoro di squadra; oltre a se stessi e al ruolo preponderante dei genitori, quasi due terzi di loro riconoscono l’importanza dei servizi forniti dalle scuole, dalle università e dallo stage per l’orientamento e per prendere consapevolezza delle proprie attitudini. 6 su 10 apprezzano anche i servizi atti a comprendere il funzionamento del mercato del lavoro.
Infine, tre quarti di ragazzi e genitori valutano l’apprendistato un’opportunità per entrare nel mercato del lavoro, ma al contrario delle imprese non credono rappresenti un primo step verso il contratto a tempo indeterminato, nonostante quasi 8 aziende su 10 dichiarino di utilizzarlo proprio per tale scopo.
“Anche se emerge un certo disallineamento tra quanto i giovani si aspettano dal mondo del lavoro e quanto imprese e organizzazioni sono in grado di offrire, i ragazzi sembrano sforzarsi di coniugare le proprie aspirazioni con la realtà esprimendo il bisogno di essere aiutati in questo tentativo – continua Colli-Lanzi –, ma soprattutto appaiono più realisti rispetto ai genitori, puntando a un lavoro in linea con le capacità e le esperienze maturate, più che con gli studi fatti. E’ però necessario lavorare sulle scuole e sull’orientamento professionale per far crescere l’employability, così come sul funzionamento dei servizi del mercato del lavoro, affinché strumenti, come l’apprendistato, aiutino i giovani a cogliere le opportunità esistenti, anche nelle PMI, che rappresentano l’ossatura del sistema economico del nostro Paese e il contesto dove spesso i giovani di talento possono esprimersi al meglio”.
La ricerca “I giovani italiani e la visione disincantata del lavoro – divergenze e convergenze con genitori e imprese” è caratterizzata da quattro aree di indagine – la situazione professionale dei rispondenti,  l’orientamento e la ricerca del lavoro, le rappresentazioni del lavoro e l’apprendistato – ed è stata condotta nei mesi di marzo-aprile 2012 tramite questionario web-based su un campione di:
* 1018 giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni – di cui la metà circa (47%) ha già lavorato. Il 30% ha dichiarato di avere un contratto a tempo indeterminato, quasi la metà del campione ha, invece, una forma contrattuale flessibile (a progetto, stage, interinale, apprendistato, ecc.) o un contratto a tempo determinato.  1 su 6 non ha mai svolto un lavoro.
* 1019 adulti tra i 40 e i 64 anni, genitori di almeno un figlio di età compresa tra i 15 e i 29 anni.
* 30 aziende nazionali e multinazionali.

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