Unibo ricerca: “leggere” le faglie per valutare il rischio terremoti

Bastano l’analisi di pochi affioramenti rocciosi e la datazione di qualche milligrammo di argilla per ricostruire la lunga e complessa storia deformativa di una faglia: un passo fondamentale per capire il passato e valutare il rischio geologico futuro

Se ne parla sempre tanto in occasione dei terremoti, e anche con le recenti, tragiche scosse in Italia centrale il tema è tornato d’attualità. Ma cosa sono le faglie? E soprattutto è possibile “leggerle” per conoscere meglio il territorio e valutare il rischio sismico? Una risposta arriva da uno studio da poco pubblicato su Nature Communications e firmato, insieme ad altri colleghi, da Giulio Viola, docente al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater.

Lo studio prende in esame una singola faglia – la faglia di Goddo, in Norvegia occidentale – e ne ricostruisce nel dettaglio la lunga storia grazie ad un innovativo approccio metodologico, che combina l’analisi strutturale delle rocce e la misura dell’età dei minerali argillosi che si formano al loro interno durante la deformazione.

Le faglie agiscono come “cicatrici della crosta terrestre” e sono zone di intrinseca debolezza meccanica, che vengono comunemente “riattivate”, spesso anche ripetutamente. Eventi, questi, che complicano notevolmente la lettura ed interpretazione di queste formazioni, perché le rocce situate lungo il piano di scorrimento subiscono continue trasformazioni chimico-fisiche e sono necessari studi assai dettagliati per comprenderne i processi deformativi.

“Grazie a questo nuovo approccio – spiega il prof. Viola – possiamo ora ricostruire le lunghe e complesse storie deformative delle faglie, ancorandole con precisione nel tempo”. Oggi sappiamo, ad esempio, che la faglia di Goddo si formò nel Permiano, circa 260 milioni di anni fa, e fu in seguito ripetutamente riattivata prima nel Giurassico ed infine nel Cretaceo, durante l’evoluzione geologica del Mare del Nord. Uno studio che ha permesso di ricostruire la storia geologica di gran parte dell’Atlantico settentrionale. Il tutto tramite l’analisi di pochi affioramenti rocciosi e la datazione di pochi milligrammi di argilla.

“È importante ricordare – continua il prof. Viola – che i risultati pubblicati offrono la possibilità di studiare con una prospettiva diversa anche aree italiane tettonicamente critiche, dove la conoscenza del territorio e delle sue peculiarità geologiche rimangono un elemento essenziale per meglio capire i processi sismogenici e la valutazione del rischio sismico. Comprendere come le faglie si sono formate nel passato geologico e come sono state successivamente riattivate è un passo fondamentale per capire il passato e valutare il rischio geologico futuro”.

Ma le applicazioni possibili non si fermano qui. I terremoti e le loro conseguenze spesso catastrofiche sono infatti solo la fenomenologia più ovvia e più facilmente ricollegabile alla presenza di faglie, che sono invece fondamentali anche nel controllare altri processi, come ad esempio la stabilità degli ammassi rocciosi, la distribuzione di risorse minerarie e petrolifere e la permeabilità del sottosuolo.

Il prof. Giulio Viola ha preso recentemente servizio all’Università di Bologna come professore ordinario dopo venti anni trascorsi all’estero (Università di Città del Capo, Servizio Geologico Norvegese ed Università di Trondheim), rientrando in Italia grazie ad una chiamata diretta con cofinanziamento ministeriale. È titolare della cattedra di Geologia Strutturale al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater.

Potrebbe interessarti

Guarda anche

Dalla chimica un aiuto per proteggere il patrimonio di abiti e tessuti che hanno fatto la storia della moda e del design

Dalla chimica un aiuto per proteggere il patrimonio di abiti e tessuti che hanno fatto la storia della moda e del design

La ricerca dell’Università di Pisa sull’Archivio della fashion designer Nanni Strada

Lascia un commento

Oppure