I social: preziosi alleati nella ricerca sul linguaggio

Facebook e Twitter sono più rappresentativi della velocità di elaborazione delle parole scritte rispetto a libri, riviste e sottotitoli di programmi televisivi solitamente usati negli studi cognitivi sul linguaggio: pubblicati sulla rivista Cognitive Science i risultati della ricerca condotta dal CIMeC, Centro Interdipartimentale Mente/Cervello, dell’Università di Trento in collaborazione con Facebook

Che i social media fossero una risorsa importante per la ricerca scientifica è noto. Ma la loro efficacia, in particolare nell’ambito degli studi cognitivi sul linguaggio, è stata misurata e confermata in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Cognitive Science firmato da due ricercatori del CIMeC, Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento in collaborazione con Facebook.

Emerge dalla ricerca che i social network sono estremamente utili nel restituire una fotografia vicina alla realtà dell’elaborazione linguistica del parlante. Del resto, Facebook e Twitter, ad esempio, sono grandi ricettori e contenitori di parole. Soltanto Facebook infatti, in tre mesi da novembre 2014 a gennaio 2015, ha permesso di raccogliere circa due miliardi di parole in inglese americano e britannico.

Lo studio – condotto da Marco Marelli, già assegnista di ricerca del CIMeC dell’Università di Trento e ora ricercatore all’Università di Ghent, e da Amac Herdağdelen, già dottorando dell’Università di Trento e ora ricercatore per Facebook – si basa anche su 75 milioni di tweet, raccolti nell’arco di otto mesi, per un totale di più di un miliardo di parole. Ma non è solo la mole di informazioni che rende i social media i migliori predittori negli studi sul linguaggio: la ricerca condotta dal CIMeC ha dimostrato come i social siano lo strumento ideale in questo tipo di indagini, perché permettono di ottenere risultati migliori rispetto a fonti di dati linguistici di impostazione più “classica”. Facebook e Twitter si sono rivelati essere più rappresentativi della velocità di elaborazione delle parole scritte rispetto a libri, riviste e sottotitoli di programmi televisivi.

Studiare il linguaggio in uso

Quanto è veloce il parlante a elaborare una parola scritta? La velocità nel riconoscere le parole è uno dei fattori chiave per comprendere come funziona l’elaborazione linguistica e come il cervello lavora per comprendere il linguaggio. La frequenza di utilizzo delle parole è un’altra importante componente nell’analisi di questo tipo di meccanismi. Individuare quali siano le parole che utilizziamo di più è fondamentale nel valutare la velocità con la quale riconosciamo ciò che viene detto. Più le parole sono frequenti, più infatti saremo rapidi nell’elaborazione.

«In questo studio – spiega Marco Marelli – abbiamo utilizzato Facebook e Twitter come fonti per elaborare le norme di frequenza negli esperimenti psico-linguistici. Questo ci ha permesso di compiere un passo avanti negli studi di elaborazione del linguaggio. I social media si rivelano essere più vantaggiosi dei metodi classici di studio dell’elaborazione del linguaggio, che tipicamente si basano su riviste e giornali, oppure su sottotitoli dei programmi televisivi. Nei media tradizionali il discorso spesso si limita ad un solo argomento o a un tema specifico, mentre nel caso dei sottotitoli il parlato si attiene a una sceneggiatura. Nei social network – Facebook e Twitter tra tutti – i post rispecchiano le reali produzioni spontanee del parlante, che si esprime più liberamente senza attenersi a vincoli esterni. Inoltre, la popolarità crescente dei social media fornisce una quantità di dati linguistici sempre maggiore ottenuti grazie ad un ampio campione di parlanti.»

I punti di forza dei social media

I risultati a cui sono giunti i due ricercatori dimostrano quindi le potenzialità dei social media nello studio dei processi linguistici, sia dal punto di vista quantitativo, sia qualitativo. «Una volta considerate le norme di frequenza basate su dati “classici”, ad esempio su riviste e sottotitoli televisivi – conclude Marelli – l’aggiunta nel modello delle frequenze ricavate dai social media aumenta l’attendibilità predittiva del 3,7% nel caso dell’inglese britannico e del 1,5% per quello americano. Un incremento che in questo ambito è ritenuto particolarmente significativo. Viene confermato così il potere predittivo superiore dei social media rispetto a quello dei media tradizionali. Questo grazie sia alla grande quantità di dati analizzabili, sia a una qualità superiore del dato stesso, per varietà delle categorie e vicinanza al linguaggio spontaneo del parlante.»

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