The Monuments Men

George Clooney è alla sua quinta regia e sceglie per la quarta volta (dopo Confessioni di una mente pericolosa, In amore niente regole, e Good Night e Good Luck) di tornare indietro nel tempo (unica eccezione le Idi di marzo ambientato ai giorni nostri), ma la cosa non stupisce visto che il non più solo attore Clooney, ha più volte dichiarato quanto grande sia il suo interesse per la storia, non solo del cinema
In The Monuments Men si misura con il genere bellico, ma lo tratta in maniera più leggera, rispettosa ma leggera, a dispetto delle caratteristiche che hanno sempre marchiato il genere, nella cinematografia americana, con dettami drammatici.
Seconda guerra mondiale, 1943, l’esercito americano comincia a farsi strada e a sconfiggere le truppe nemiche. Frank Stokes (Clooney) è uno storico dell’arte che la guerra ha portato nell’esercito (il personaggio realmente esistito si chiama George L. Stout) per formare un’unità “speciale” in quanto composta da direttori di museo, curatori, artisti, architetti e storici dell’arte, denominata Monuments Men il cui compito è di restituire ai legittimi proprietari le opere d’arte trafugate dai nazisti.

Il racconto ha un impianto corale e intorno a Clooney c’è un cast di tutto rispetto: Matt Damon, John Goodman, Bill Murray, Jean Dujardin, Hugh Bonneville e Cate Blanchett (in una formidabile interpretazione di una francese curatrice di un museo, poi diventato deposito delle opere d’arte trafugate). Nonostante questo e la chiara presenza di una struttura ben salda alle spalle, con un impianto dai risvolti drammatici, comici e avventurosi, il film non coinvolge emotivamente, di quelli che dopo la visione si dice “senza infamia e senza lode”.

La tesi di Clooney (che del film è anche sceneggiatore e produttore) e del suo co – sceneggiatore Grant Heslov è che ogni singola civiltà non può vivere senza il proprio patrimonio artistico e culturale. Non a caso, in chiusura del film, proprio al suo personaggio viene rivolta la domanda retorica: Ne è valsa la pena? Perdere degli uomini per salvare opere d’arte?.
L’arte (che sia una canzone, un film, una scultura etc) non ha confini territoriali, razziali, religiosi anzi li abbatte, ma è anche vero che caratterizza ogni singolo popolo, cultura, nazione. E pensare che in Italia, famosa per il suo inestimabile patrimonio artistico, c’è qualcuno che vorrebbe vendere le nostre opere d’arte per ricavarne soldi.

Potrebbe interessarti

Guarda anche

Il Gruppo LEGO svela il nuovo set LEGO Batcave - Shadow Box

Il Gruppo LEGO svela il nuovo set LEGO Batcave – Shadow Box

Il Gruppo LEGO annuncia un’incredibile novità nella Collezione LEGO Batman: il set LEGO Batcave – …

Lascia un commento

Oppure