12 anni schiavo

Ci risiamo, torna la coppia Steve McQueen e Michael Fassbender. Solo che questa volta l’attore non è il protagonista indiscusso perché lo è Chiwetel Ejiofor che interpreta Solomon Northup

Siamo negli anni che precedono la guerra civile americana, Solomon è un musicista nero, libero nello stato di New York. Un “amico” lo inganna, lo droga e lo vende come schiavo a un ricco proprietario terriero. Ecco che per lui inizia un incubo lungo 12 anni durante i quali ogni giorno si deve misurare con la crudeltà più spietata, vivendo sulla propria pelle la tragedia della sua gente e sforzandosi di sopravvivere mantenendo la sua dignità. L’incontro con un abolizionista canadese cambierà la sua vita.

12 anni schiavo segue la scia di Lincoln e Django Unchained, opere diverse che mostrano la questione della schiavitù da punti di vista diversi. Nel film di Spielberg la condizione dello schiavo è trattata attraverso discorsi e mediazioni, mai mostrata crudelmente, in quello di Tarantino e questo di McQueen la visione è rivoluzionaria, in quello sfida l’impero, in questo lo subisce per 12 anni. Questa è la terza volta che il regista inglese si mette dietro la macchina da presa per misurarsi con un lungometraggio e continua il suo viaggio nell’alienazione e reclusione dell’individuo, mostrandolo in ogni film in maniera diversa. In Hunger (2008) racconta di un uomo costretto a detenzione in una violenta prigione dell’Irlanda del Nord, in Shame (2011) mette in scena un sessuomane rinchiuso in una prigionia (costruita dalla sua stessa malattia) sottile, astratta, ma terribilmente infima.

In quest’ultimo film la cifra stilistica del regista ha un tocco delicato e efficace che si interseca con crudeli primi piani e carrellate che mostrano le ferite causate dalle violenze e costringono lo spettatore a partecipare attivamente. L’accurata fotografia sottolinea un impianto visivo malickiano, soprattutto nei lunghi piani sequenza di tipi introspettivo in cui la voce del protagonista ci guida in questa odissea.

Trasposizione dell’omonimo libro scritto dallo stesso Northup nel 1853, il film esamina la condizione degli schiavi afro – americani senza risparmiare nulla, ci mostra ciò che accadde al protagonista, che ebbe la fortuna di sopravvivere, ma anche quello che accadde a chi non ebbe lo stesso destino felice. Numerose sono state le pubblicazioni scritte dai 101 schiavi riusciti a tornare liberi, ma quella di Northup è diversa perché narra un percorso anomalo che parte dalla libertà e torna alla libertà passando per la schiavitù, intersecandosi con argomenti universali come il tradimento, l’identità, la brutalità e il mantenere la fede come unico mezzo per non soccombere alla cattiveria dell’uomo.

 

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