Sindrome di Down: passi avanti nella ricerca di una potenziale cura

Un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna, guidato da Renata Bartesaghi, ha pubblicato sulla rivista di neuroscienze “Brain” uno studio che dimostra la possibilità di riuscire a ripristinare, su uno specifico modello di topo di laboratorio, lo sviluppo del cervello colpito da sindrome di Down, grazie ad una terapia farmacologica prenatale

La ricerca, sottolineano gli autori, è innovativa in quanto evidenzia, per la prima volta, come sia possibile correggere in laboratorio, prima della nascita, le alterazioni cerebrali e le disabilità cognitive causate dalla sindrome di Down.

I ricercatori dell’Alma Mater, guidati da Renata Bartesaghi, hanno iniziato a studiare, alcuni anni fa, in topi modificati per replicare molte delle caratteristiche tipiche della sindrome di Down, la possibilità di ripristinare farmacologicamente, in esemplari appena nati, il corretto sviluppo cerebrale tramite la somministrazione di fluoxetina, un antidepressivo di largo uso. La ricerca ha avuto un esito positivo e ora gli obiettivi del team bolognese si sono spinti oltre.

Ad eccezione dei neuroni della regione ippocampica, che si formano in larga misura dopo la nascita, la maggior parte dei neuroni che popolano il cervello vengono generati nel feto e, pertanto, il periodo prenatale è quello più critico per il normale sviluppo cerebrale. I ricercatori dell’Alma Mater si sono quindi posti un ulteriore quesito: è possibile ripristinare significativamente lo sviluppo del cervello, prima della nascita, tramite una terapia farmacologica? Finora non esistevano studi che avessero esplorato questa possibilità. La ricerca dimostra, per la prima volta, come sia possibile ripristinare, in laboratorio, lo sviluppo di tutto il cervello affetto da SD mediante terapia prenatale con fluoxetina.

La disabilità cognitiva tipica della sindrome di Down è sempre stata considerata irreversibile. Queste ricerche aprono ora una strada innovativa verso una possibile cura, grazie a terapie farmacologiche precoci, durante le primissime fasi dello sviluppo cerebrale. Come osserva Renata Bartesaghi, la team leader di questa ricerca: “Solo la sperimentazione clinica ci potrà dire, però, se tale terapia farmacologica, così efficace in questo modello di topo con sindrome di Down, potrà ottenere gli stessi positivi risultati sull’uomo”.

La sindrome di Down è una malattia genetica ad alta incidenza (1 caso ogni 700/1000 nati) provocata dalla triplicazione del cromosoma 21. La sindrome di Down può determinare diverse manifestazioni cliniche, ma la disabilità cognitiva, presente fin dalle prime fasi della vita, è sempre presente. Il ritardo mentale è attribuito alla riduzione complessiva del volume del cervello, causato, secondo gli ultimi studi, da un difetto critico e generalizzato nella formazione di neuroni a partire dalla fase embrionale dello sviluppo cerebrale. Tale anomalia è aggravata da una difettosa maturazione dei neuroni che presentano un ridotto numero di rami dendritici e una ridotta densità delle spine dendritiche, le sedi di contatto (sinapsi) dove avviene la ricezione delle informazioni provenienti da altre cellule cerebrali.

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